"Ma, quando niente sussiste d'un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l'odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l'immenso edificio del ricordo."
(M. Proust)

31 agosto 2010

Pasta fighetta con lo scorfano


Dopo TUTTA (si fa per dire, non illudetevi) questa vacanza, sono un pò post-arrugginita. Nel senso che non so da che parte cominciare a scrivere!
Ci provo?
Prima di partire, ad una delle mie cene del giovedì, ho servito dei fusilli di Gragnano con una salsa di pomodoro leggera e tocchettini di scorfano appena saltati.
Ne è venuto fuori un primo delizioso, profumato e colorato che ho fatto posare nel bicchierino nuovo nuovo, con la sua vezzosissima forma irregolare.
Ho usato un contenitore così piccolo perchè non ne è avanzato un piatto intero!
Per quattro persone:
320 gr di fusilli di Gragnano,
200 gr di filetti di scorfano, 
timo e santoreggia freschi
4 pomodori ben maturi
uno spicchio d'aglio 
una punta di cucchiaino di zucchero
un peperoncino
200 gr di passata di pomodoro
--
Preparare una salsa leggera, facendo appena colorire aglio e peperoncino in olio d'oliva, aggiungere il pomdoro fresco a pezzetti e dopo qualche minuto la passata.  Far restringere, dopo aver corretto l'acidità con una puntina di zucchero. Aggiustare di sale e pepe. Passare al setaccio.
Nel frattempo lessare la pasta e, mentre cuoce, far saltare i filetti di scorfano a pezzetti, conditi con olio, sale e  pepe.
Scolare la pasta, mantecarla con la salsa preparata e completare con i dadini di scorfano e le foglioline di timo e santoreggia.
Servire.
--
Non cucino spesso la pasta. A dire il vero non so perchè, devono essere i geni nordici che mi fanno preferire il riso o le zuppe. Pensare che un bel piatto di pasta dà una gran soddisfazione e ti risolve una cena. Prometto che d'ora in avanti diventerò pastifera. Ecco.
(PoveraPazza)






7 agosto 2010

pesche ripiene, mica madeleines


da oggi, 7 luglio 2011, la zia Mariuccina insegnerà le sue pesche ripiene, i capunit e la frittura dolce più buona del mondo a un nuovo pubblico. Piaceranno, lassù, sono sicura.
--
Le pesche ripiene sono la mia infanzia, il dolce che mia zia Mariuccia ci faceva trovare ogni estate (l'inverno era rappresentato dalla crema per antonomasia oppure dalla frittura dolce due semplicissime ricette che magari mi proverò a ripetere, una di queste volte).
La zia è diventata un mito vero fra i miei amici per la sua totale incapacità di spiegare le cose. Come ViPeron ha ricordato qualche post fa, sua è la categoria metafisica del "ti regoli", in risposta alla mia richiesta di dosi e spiegazioni sulla pesca ripiena, appunto. E quanti amaretti? ti regoli! e quanto cacao "ti regoli!" e così via per una estate intera di tentativi falliti. Nessuna era come le sue, neppure queste. Ma forse le pesche ripiene della mia infanzia ormai sono entrate nel mito e niente le potrà eguagliare.
Dopo anni mi è tornata la voglia di rifarle, per la mia cena del giovedì.
Ah: la zia era categorica solo per un particolare. Bisogna usare le pesche che si spaccano da sole. Quelle che, ad un invito gentile, dividono anche il nocciolo in due. Mai viste. Ormai la pesca non è distinguibile dalla mela eccetera eccetera. Anche il mio spacciatore biologico lascia a desiderare.. 
Si deve pur campare, no? Procuriamo le mejo pesche che troviamo e facciamocele andar bene.
Per 6 persone:
*6 pesche gialle, non dure come sassi ma neanche troppo morbide
* 100 gr. di amaretti
* 2 tuorli (uso solo uova biologiche, non lo specifico neppure più)
* 3 cucchiai di cacao amaro
* 20 gr di burro più un po' per la teglia
e basta. Ho letto fantasiose ricette con uvette liquori mandorle. No, le pesche ripiene vere sono fatte così. Senza fronzoli e non creative. Deliziose, almeno per me.

5 agosto 2010

Pie di Nonna Papera. Una specie.


Ormai lo sapete, vi dico tutto.
Ho fatto emigrare una torta in Val d'Aosta. Era per un quasi-compleanno.
A me cucinare i dolci annoia. Sopporto a stento quelli con frutta oppure al cucchiaio o meglio ancora con frutta e al cucchiaio. Son gli unici che replico.
Mi è venuta voglia di quei pie che mi compravo dagli Amish, al mercatino biologico di Union Square il sabato mattina. Ho provato a rifarla, ma non è la stessa cosa. Non male, diversa però.
Il pie di Grandma Duck è ineguagliabile. Semplicemente.
(Ho visto una ricetta simile in rete qualche giorno fa ma, essendo ormai totalmente imbecille, non l'ho segnato e non riesco più a ritrovarlo per linkarlo - mi scuso con l'autore-autrice - )
Ho usato:
*220 gr. di farina 00 
*50 gr. di fumetto di mais 
*100 gr di burro freddo
*un baccello di vaniglia da cui prelevare i semi con un coltellino
* 3-4 cucchiai di acqua ghiacciata
*3 cucchiai di zucchero semolato
--
per il ripieno: 4 mele golden delicious, 200 gr. di mirtilli, 2 cucchiai di zucchero muscovado e volendo anche 2 cucchiai di panna
--
Sbucciare e tagliare le mele a fettine e farle stufare per dieci minuti, coperte, insieme allo zucchero.
Lasciar raffreddare ed unire i mirtilli ( i miei erano dei veri montanari selvatici) e volendo la panna.
Preparare la pasta mescolando farina e zucchero con il burro freddo, come per fare un crumble, formando quindi le bricioline che si impasteranno inumidendole con l'acqua fredda. Tutto, come si sa, deve essere molto veloce.
 La mia aggiunta della farina di mais si può evitare (si idrata meno di quella normale di frumento), era solo un vezzo ulteriore.
Formare una palla, coprire con la pellicola e lasciar riposare in frigo per una trentina di minuti o più (meglio, se fa caldo).
Riprendere la pasta, stenderne i due terzi, foderare una tortiera, bordi compresi, e far cuocere in bianco, dopo aver bucherellato il fondo con la forchetta, a 190° per dieci minuti senza far colorire.
Riempire con il ripieno di mele, ormai freddo.
Stendere la rimanente pasta, coprire il ripieno cercando di saldare il "coperchio" con i bordi del pie.
Volendo nonnapaperizzare, praticare i taglietti classici in centro per la fuoriuscita del vapore. Cuocere fino a quando la superficie non sia dorata: nel mio forno sono serviti altri 20 minuti a 190°, ma ognuno conosce i suoi polli.. Sorvegliare in modo che non si bruci, eh!
Siccome io avevo fretta di trasportarla l'ho sfilata quasi subito dal disco per farla raffreddare sulla gratella E HO PROVOCATO DELLE ORRIBILI CREPE sulla superficie. Non elegante, no.
Mi sentirei di sconsigliare l'operazione, potendo.
Però era buona. Almeno quello.
(PoveraPazza)
Si sente che sono stanca? Ho bisogno di vacanze, molto bisogno. Ma ci siamo quasi!!

3 agosto 2010

Mr. Paul, I suppose?

Che titolo macabro.. Trovo insopportabile la me stessa che non ce la fa a evitare una (facile) battuta..
Ma non ce la fa, appunto. Allora gioca sul povero Paul vaticinante e probabilmente già soggetto di insalata o umido o..
Oppure re di un acquario spagnolo (speriamo).
Gli ignoti folpetti che, loro malgrado, hanno reso possibile la leccornia qui raffigurata li piango come fratelli. Mi pento e mi dolgo, ma, buoni come sono, non posso promettere che non ripeterò il peccato.
Trattasi di uno stufato estivo, da mangiare freddo, di polpo, patate e peperoni.  Ispirato ad una ricetta di Cucina Italiana, riprodotto con minime variazioni.
--
A me sono serviti:
2 polpi in tutto 1,5kg
1 peperone giallo e 1 rosso
300 gr di patatine rosse nuove
abbondante basilico fresco
alloro
olio d'oliva
1 cipolla di Tropea grande (la mia era novella)
--
Da quando ho scoperto la cottura senza nulla, continuo a proporre polpi in ogni variazione possibile.
Un metodo che ha a che fare con l'uovo di Colombo, tanto semplice e fonte di tanta soddisfazione.
Si fa stufare la cipolla tagliata sottile in un cucchiaio d'olio a fuoco dolce. Si uniscono i polpi puliti e lavati e due foglie di alloro. No acqua. No sale. Niente. Si copre e si lascia andare a fuoco dolcissimo per 30 minuti.
Nel frattempo si puliscono i peperoni, si tagliano a dadi non troppo piccoli. Si lavano e tagliano le patatine con la buccia (se si usano patate non novelle va bene anche sbucciarle, ovviamente), sempre a cubetti.
Trascorsi i trenta minuti si uniscono i peperoni, e si lasciano insaporire per cinque minuti. E' poi la volta delle patate.
Sempre no acqua, no sale, no olio.
Si copre e si lascia cuocere ancora una ventina di minuti.
Come per la cottura tradizionale il polpo dovrà essere lasciato nella sua acqua a raffreddare.
Si scola intanto la verdura per evitare che il calore la cuocia ulteriormente.
A questo punto il cugino di Paul potrà essere scolato e tagliato a pezzetti, conservando le ventose. Si unirà, in una capace ciotola, alle verdure e a una bella manciata di foglie di basilico spezzate a mano. Una macinata di pepe e un filo d'olio buono completeranno il tutto.
Foste parenti delle capre, magari vi sembrerà che il sale ci voglia. Vi sbagliate. Non serve. E'inutile.
Sia il polpo che le verdure sono saporiti al punto giusto.

Con Sigrid, la prima che mi ha aperto il mondo della cottura "a secco" pensavamo di dar vita alla setta dei cuocitori di polpo senz'acqua.
Le iscrizioni sono aperte. Affrettatevi.
(PoveraPazza)

1 agosto 2010

Disastro e redenzione (con deus ex machina): polpette di melanzane.

.
II PARTE: REDENZIONE (CON DEUS EX MACHINA)

Per godere appieno della catartica redenzione, caro e paziente lettore, ti toccherà rifare una capatina agli inferi e rileggerti l'oramai stantia cronaca del disastroso esperimento con le polpette esplosive perché troppo acquose.

Fatto? Bene, il resto della strada è in discesa. 

Ho colto l'occasione di una recente trasferta padana della imprecisa genitrice per costringerla a eseguire la preparazione delle problematiche polpette sotto i miei occhi attenti: con stupore ho constatato l'estrema  semplicità del procedimento. Santa donna! In fondo quel suo mantra: "stai tranquillo, è facile" aveva una sua  raison d'être.

Proseguo con ordine: per 12 polpette serviranno un chilo abbondante di melanzane lunghe (quelle tonde, per quanto più polpose, tendono a rilasciare più acqua),  pan grattato, due uova, un mix abbondante di parmigiano e pecorino grattugiati, sale, pepe, una generosa manciata di basilico, farina e 12 cubetti  dell'immancabile provola affumicata fresca, quella che i napoletani tenderebbero a integrare in qualsivoglia ricetta (persino ViPeron, una volta vittima della provola, nè è diventato schiavo: lo testimoniano i suoi ultimi post!).

In primo luogo, le melanzane vanno sbucciate. Mi sembra già di sentire i rimbrotti degli sdegnati adoratori  della mela insana che sanno - i buongustai - quanta bontà si celi in quel lucido tegumento violaceo. Beh, mantenete la calma:  se proprio non ce la fate a far transumare le bucce nell'umido, tagliatele a quadretti e friggetele: saranno un'ottima aggiunta a un intingolo a base di pomodori San Marzano "schiattati", aglio e una manciata di basilico con cui condire una pasta estemporanea. Ma questa è un'altra storia.

Insomma, sbucciamo 'ste melanzane,  dividiamole in due/tre pezzettoni ciascuna e lessiamole in abbondante acqua (non salata). Una volta scolate, le lasciamo raffreddare per poi schiacciarle e strizzarle con l'ausilio di una garza e di un cinese fino all'ultima goccia d'acqua. Vi prego di apprezzare appieno la portata del corsivo, a meno che non vogliate deliziare i vostri cari con giochi pirotecnici di olio bollente. Se disponete di terrazzo soleggiato, consiglierei anche una certa esposizione del bolo verdino risultante dalla precedente operazione ai raggi di Helios, al fine di sottrarre ulteriore umidità. Quando l'ho suggerito alla mamma-dea ex machina, questa mi ha mandato a quel paese senza tanti convenevoli: due cucchiai di pangrattato sortiranno lo stesso effetto, ha  vaticinato. Che dire. Fiat voluntas tua. Amen.

L'impasto così ottenuto va comunque lasciato riposare per almeno un'ora.

Trascorsa l'ora, aggiungiamo due tuorli d'uova e spolveriamo di pecorino e parmigiano ad libitum.
Proviamo l'impasto, aggiustiamo di sale, aggiungiamo il pepe macinato di fresco e infine amalgamiamo le foglie del mazzetto di basilico, spezzate rigorosamente con le mani. Formiamo delle polpette leggermente schiacciate, dotandole di cuore di provola. Infariniamole una prima volta, passiamole nelle chiare leggermente sbattute delle due uova e ripassiamole nella farina. La doppia infarinatura e l'albume creeranno una corazza che trattiene gli umori residui all'interno della polpetta  e impedisce la loro fuoriuscita esplosiva durante la frittura (ecco svelato l'arcano!). Frittura che deve svolgersi, in olio extavergine di oliva, a temperatura media per dare tempo alla polpetta di cuocere al suo interno.







Queste polpette, soffici e profumate, sono squisite sia calde che fredde.

Prima di prendere commiato, vorrei scusarmi con i frequentatori del blog per la bassa qualità  delle mie illustrazioni. Amo il cibo. Toccarlo. Annusarlo. Prepararlo. Soprattutto, mangiarlo. Tutte cose che, fuor di modestia,  mi riescono abbastanza bene, specie l'ultima.  Ma soffro di una totale incapacità per ogni forma di rappresentazione artistica dello stesso. Vedo le presentazioni e le foto di Povera Pazza e provo profonda vergogna per le mie pochezze. Sono un foodblogger a metà. Forse a un quarto. 

Così è (se vi pare).

(GeppetNo)