"Ma, quando niente sussiste d'un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l'odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l'immenso edificio del ricordo."
(M. Proust)

3 novembre 2011

ho fatto la pasta (col polpo)

Niente di più normale, direte voi. Per me, invece, un avvenimento. Ho sempre posseduto la macchinetta che tira la sfoglia ma, per pigrizia e inettitudine al montaggio, le rare volte che mi è venuto in mente di pastificare, sono andata di mattarello, pensando: troppa fatica, mai più.

Complice ilFra, il weekend lungo e una botta di creatività, mi son decisa: dai, proviamo.

Tra le mie (numerose) fisime alimentari c'è anche il poco amore per la pasta all'uovo che trovo inutilmente ricca e anche un pò stucchevole. Dunque niente uova, ma semola e (sorpresa!) farina di ceci per le mie prime tagliatelle, da accompagnare a molluschi e polpo.

Gli ospiti del giovedì, eccezionalmente spostati di domenica, son stati contenti di assaggiare un cibo "normale" e casalingo.

Per 6 persone:

250 gr di semola rimacinata di grano duro
80 gr di farina di ceci
1 cucchiaio di olio d'oliva
un pizzicone di sale
acqua qb

Ho impastato col Ken. Per una volta ha vinto la tecnologia.
Mescolare le due farine e il sale, aggiungere l'olio e tanta acqua tiepida quanta ne assorbirà la farina fino a formare un impasto sodo, liscio e brillante. A velocità medio-bassa ci vorranno circa dieci minuti.
Avvolgere la palla nella pellicola e lasciar riposare per trenta minuti in frigo.
Dividere poi in quarti, tirare le sfoglie a mano o con la nonnapapera, abbastanza sottili ma non impalpabili (sono arrivata fino alla penultima tacca). Formare le tagliatelle e stenderle su un piano di lavoro infarinato.

L'ho proposta con due condimenti diversi: vongole veraci , pomodorini spaccati , peperoncino e prezzemolo (unica foto è quella pubblicata, mi scuso) e ragù di polpo.


Per il ragù di polpo:

1 polpo da 5-600 gr
2 coste di sedano
1 cipolla media
250 gr di pomodorini
300 gr di pomodori pelati di ottima qualità
1 spicchio d'aglio
peperoncino
1 cucchiaio di prezzemolo tritato
olio evo

Cuocere il polpo come d'abitudine (io sempre nella sua sola acqua, nè sale nè olio nè nulla - fiamma bassissima, coperto) e lasciarlo raffreddare.
Tritare cipolla e sedano a dadini piccoli ma non microscopici (il ragout è un taglio, lo sapevate?), tritare anche il polpo ormai freddo, sempre a dadini grossolani.
In una capace casseruola imbiondire l'aglio e il peperoncino, aggiungere sedano e cipolla e soffriggere fino a quando le verdure saranno morbide e quasi trasparenti.
Unire poi i pomodorini tagliati e quarti e il polpo tritato. Cuocere per un paio di minuti e aggiungere anche i pomodori pelati.
Restringere la salsa per una decina di minuti, aggiustare di sale, eliminare l'aglio.
Nel frattempo cuocere la pasta (80 gr a testa sono un piatto normale, quelli ne reclamavano altra) al dente: 3 minuti basteranno. Scolarla non completamente, trasferirla nel ragù di polpo e insaporire, a fiamma accesa, per un altro paio di minuti. Cospargere di prezzemolo tritato e servire.

Da sempre sostenitrice del matrimonio: legumi+frutti di mare + cefalopodi, trovo che quel tocco di farina di ceci stia a meraviglia. 

PoveraPazza sembra quasi una perfetta cuochina, a volte.

2 commenti:

http://2009callingatlondon.blogspot.com/ ha detto...

la complicità del cefalopodo, guarda cara amica mia, potrebbe pure essere il titolo di un racconto... romanzo magari no, sarebbe troppo alla Eco.

Ti stupirò, anzi per nulla, ma non sono un amante della pasta all'uovo, la ragione sta soltanto nell'imbarazzo dell'uovo e nel giallo, preferisco infatti l'onestà della farina e dell'acqua.

Ho una visione cefalopoda della pasta!

Che bello che vieni a Troutbeck House con Al. Ti aspettiamo
Il fra

Unknown ha detto...

Son felicissima anche io!
E stasera, favette, come i veri emigranti.